PRESENTAZIONE
La Scuola Quadriennale di Psicoterapia a Indirizzo Sistemico-Relazionale e Orientamento Etno-Sistemico-Narrativo (ESN) è l'unica Scuola in Italia, riconosciuta dal MUR, che integra l’etnospichiatria, l’approccio sistemico e quello narrativo.
SBOCCHI PROFESSIONALI
La Scuola fornisce una specializzazione per il lavoro psicoterapeutico con gli individui, le famiglie, i gruppi e le comunità. L’approccio ESN è particolarmente indicato nei contesti in cui le migrazioni e la creolizzazione della società richiedono nuovi strumenti di comprensione e lettura, tanto per il lavoro con i migranti, quanto per quello con gli autoctoni.
INDIRIZZO TEORICO:
L’approccio Etno-Sistemico Narrativo (ESN)
Natale Losi
Primo tempo della partitura: rapporto tra cultura, migranti e forme del disagio psichico
Questo primo punto rappresenta il principale nodo che differenzia il pensiero etno-sistemico-narrativo (d’ora in poi ESN) da quello etnopsichiatrico. Quest'ultimo assume, in forme più o meno rigide e stereotipate, a seconda degli autori, che i migranti si riconoscano, in modo più o meno spontaneo e scontato, nelle proprie appartenenze (di razza, etnia, identità, radici, comunità, entità culturali e religiose, ecc.), soprattutto se privati delle possibilità di trovare altri spazi nelle società di arrivo. Palidda definisce questa prospettiva, come “culturalistico- autoritaria”1. In effetti, questo è uno dei rischi in cui incorre l'etnopsichiatria, mentre, all'opposto, il pensiero ESN si sforza di comprendere le conseguenze delle migrazioni come processi contraddittorii di rappresentazione della realtà, proprio perché soggetti a infinite interazioni all'interno di frames profondamente diversi. Penso, a differenza dei sostenitori inconsapevoli di un pensiero “culturalistico- autoritario” (tra i quali abbondano etnopsichiatri e no), che il motivo principale per cui i migranti sono avversati, sia che, pur essendo “... soggetti de-territorializzati e parzialmente de-culturati; di fatto essi mostrano che si “può vivere altrove e senza il paese d'origine”, insomma dimostrano che il territorio e la cultura non sono indispensabili all'esistenza”.2 Se condividiamo questa prospettiva, il rischio dell'etnopsichiatria è quello di etichettare i migranti come pezzi della loro cultura e non come soggetti attivi, dinamici e mobili. “... interpretando gli stranieri come “culture”, la nostra società pensa di conoscerli e si sente rassicurata perché ha paura della loro fluidità e della loro mobilità, non della loro estraneità culturale, soprattutto se minoritaria e recintata. In realtà, il migrante minaccia la pretesa che una cultura coincida con un territorio, non è rappresentativo della sua presunta cultura originaria, ma è un individuo che ha messo in atto un assemblaggio di culture diverse, insomma un ibrido, un “meticciamento”. Il migrante suscita sospetto, paura e ostilità, perché, che lo voglia o no, è un veicolo di ibridazione”. 3
Secondo tempo della partitura: dall’etnopsichiatria al pensiero ESN
Se l'etnopsichiatria tende a curare il disagio forzando il migrante in difficoltà a ritrovare le proprie presunte radici culturali perdute, io tendo, attraverso l'approccio ESN a co-costruire il percorso terapeutico rispecchiandomi nell'ibridazione conquistata dal migrante stesso. Seguire questo percorso non è semplice, soprattutto quando non si dispone di un setting clinico gruppale. Per questo l'idea di equiparare il migrante all'eroe delle fiabe discussa in Vite Altrove4, si è rivelata utile anche nell'esperienza clinica di questi più di vent’anni che ci dividono dalla prima edizione del libro.
Da questa lunga esperienza clinica cerco di elencare schematicamente i principali elementi di riflessione teorica che caratterizzano l’approccio ESN:
- Il disagio psichico è interpretabile come una narrazione negativa di sé, che se da un lato comporta appunto il disagio, dall’altro contiene nell’espressione stessa dei sintomi tutti gli elementi per una nuova co-narrazione che porti al superamento del disagio stesso. Tale co-narrazione non è per forza “culturalmente determinata”, ma il più delle volte è un ibrido;
- Le ipotesi di rinnovamento narrativo alle quali può attingere il terapeuta ed i co- terapeuti (nel caso ottimale in cui se ne possa disporre) possono attingere a diverse fonti, quali: le storie e le ipotizzazioni di tutti i soggetti presenti in seduta, con una particolare attenzione ovviamente alla storia biografica del paziente. Al di là del contenuto specifico di queste ipotizzazioni, un riferimento costante per chi scrive è rappresentato dalla struttura delle fiabe, e in particolare dagli elementi fissi che ne connotano ogni narrazione. In particolare, partendo dalle osservazioni di Greimas, Meletinskij e Holbek 5, la fiaba è costituita da un misfatto seguito da una serie di tre prove, nelle quali gli sforzi dell’eroe (paziente) sono retti da quattro coppie di opposizione semantica:6
- il conflitto tra generazioni;
- l'incontro tra i sessi;
- l'opposizione sociale umili/potenti;
- il rapporto oppositivo o collaborativo tra il mondo visibile e quello invisibile (dei vivi e dei morti; del paese di immigrazione e di emigrazione).
- Le fiabe, da un punto di vista storico, non rappresentano altro che una ricaduta dei riti di passaggio, e hanno cominciato a sostituire questi ultimi dal momento in cui l’organizzazione delle società umane non li ha più resi fattibili, a causa ad esempio degli spostamenti forzati o di altri cambiamenti radicali.
- Le prescrizioni rappresentano il mezzo, il filo di sutura, che consente la ricucitura delle fratture dovute a una rottura e consentono la ripresa di una “narrazione” positiva della propria esistenza. Da questo punto di vista sono un ritorno dalla fiaba al rito, e non a caso seguono la stessa struttura del rito di passaggio, ovvero: connotazione positiva, definizione della prova, esecuzione della prova, riconoscimento del suo superamento.
- Le sofferenze d'identità non riguardano solo i pazienti immigrati da culture “tribali/tradizionali/subalterne”, ma riguardano anche pazienti facenti parte della cultura dominante o principale in una determinata società.
- Un’ulteriore questione riguarda il dispositivo terapeutico. La maggior parte degli autori che hanno scritto di etnopsichiatria, non necessariamente praticandola sul terreno clinico, individua nel setting gruppale, una necessità inderogabile. Io non condivido tale rigidità. Porrei il problema in modo diverso. La seduta terapeutica è un luogo dove si confrontano forze diverse e spesso contrastanti, nel quale agiscono tre principali attori generalmente così definiti: paziente, terapeuta e (materialmente o simbolicamente) testimoni. Nel dispositivo etnopsichiatrico classico questi testimoni sono materialmente presenti e attivi e vengono chiamati co-terapeuti. Nella mia prospettiva, nelle situazioni nelle quali non esista una disponibilità di questi attori, la loro presenza può essere evocata simbolicamente dal terapeuta.
- 7. La complessità richiesta dalla costruzione della/e prescrizione/i introduce al significato dell’approccio ESN (Etno-Sistemico-Narrativo), definizione composita in cui “Etno” deriva da etnopsichiatrico a ragione del fatto che è possibile, come sopra ricordato, ma non indispensabile, utilizzare il dispositivo etnopsichiatrico. L’unica differenza non sta però nella possibilità/necessità di usare questo setting, ma piuttosto nella individuazione di prescrizioni che siano accettabili ed efficaci per il paziente, non tanto perché sono omogenee o derivate dalla sua cultura, ma piuttosto siano compatibili/accettabili dalla stessa. “Sistemico” deriva dal pensiero sistemico che guida l’ipotizzazione delle cause dei sintomi/malesseri portati dal paziente, come esiti circolari e dinamici di fattori e soggetti plurali che fanno parte del sistema di appartenenza del paziente, del suo mondo significativo, delle sue relazioni con gli “altri importanti”. In altri termini i sintomi non vengono da “dentro”, ma dalla relazione tra il “dentro e il fuori”. “Narrativo” deriva dalla consapevolezza che siamo fatti di storie e che “storie che ammalano” possono essere trasformate nel corso di un’interazione significativa in “storie che curano”.
Terzo tempo della partitura
Con l’approccio ESN cerco di offrire una base teorica e degli esempi clinici che sappiano offrire alternative terapeutiche percorribili all’imperante medicalizzazione del disagio e della sofferenza. Chi emigra, per forza o per scelta, non può essere posto nella posizione di vittima o di malato, anche quando dovesse attraversare periodi di grave disagio psichico ed esistenziale. Il migrante è, nel pensiero ESN, il moderno eroe, che, come nelle fiabe, può sperimentare fallimenti e abbisognare di alleati per raggiungere i propri scopi.
Il terapeuta, nella mia prospettiva, non è altro che questo alleato.
Tratto e modificato da Natale Losi, “Etnopsichiatria come co-costruzione di storie che curano, tra cultura e creatività: partitura in quattro tempi” in M.R. Moro e R. Finco (a cura di), Minori o giovani adulti migranti? Nuovi dispositivi clinici tra logiche istituzionali e culturali, Torino, l’Harmattan Italia, 2015.
DIRETTORE RESPONSABILE
Natale Losi
COMITATO SCIENTIFICO
(Garante)
Natale Losi
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Roma: Via Cesare Balbo, 4, 00184 c/o YWCA