Centre Georges Devereux e Scuola Etno Sistemico Narrativa
2-3 marzo 2019
Il mondo è in movimento come non mai. Le frontiere sembrano essere scomparse ed emerge drammaticamente una questione: come accogliere gli “altri”. Come evitare di maltrattarli, respingerli, ignorarli?
Se dovessimo esprimere in sintesi l’etnopsichiatria sviluppata da Tobie Nathan, si potrebbe definirla come “una psicologia che pensa l’ospitalità”. Il dispositivo della consultazione creato da Tobie Nathan nel 1979, che riunisce attorno al paziente e ai suoi, gli operatori socio-sanitari che l’hanno in carico e l’equipe multi etnica e pluri-professionale di etnopsichiatria e almeno un mediatore etno-clinico, permette di accogliere il paziente, malgrado la sua vulnerabilità e le sue sofferenze, innanzitutto come un soggetto ricco della sua cultura, del suo mondo, portato da un gruppo e delle forze, spesso invisibili a un primo sguardo. Isabelle Stengers, nella prefazione di “Non siamo soli al mondo” di Tobie Nathan, scrive a proposito dell’etnopsichiatria del Centre Devereux: “È imperativo di non appropriarsi di un’idea di universalità, di non fare di “noi” i suoi rappresentanti… E soprattutto di non approfittarsi della debolezza e della confusione dell’altro per tentare di convertirlo in un ”qualunque”.
Tobie Nathan propone d’accogliere e curare i soggetti con sofferenze psichiche non come dei “qualunque” (Psicoterapia democratica, Raffaello Cortina 2013), degli umani universali e anonimi e banali, inseriti in un universo popolato da soli umani, ma come degli esseri connessi a delle forze, a dei “proprietari” che sono la condizione della loro individualità e che sono l’origine, sia del loro malessere, sia delle loro risorse e guarigione.
L’etnopsichiatria si sforza di mettere in luce la razionalità, l’intelligenza e la logica del funzionamento di questi non umani, che accompagnano e obbligano gli umani. Accogliere gli esseri umani venuti d’altrove consiste allora nel dotarsi dei mezzi per accogliere degli autentici “stranieri”, ovvero i non-umani – gli dei, i morti, gli spiriti, gli antenati, ecc. – che accompagnano i migranti che noi riceviamo. Ma, il presupposto a questo, come scrive Nathan nelle sue opere (L’étranger ou le pari de l’autre, Edizioni Autrement 2014 e Quando gli dei sono in guerra, La Scuola 2017), è il riconoscimento che se gli umani sono tutti uguali, i loro “proprietari”, le loro divinità, i loro demoni, i loro spiriti, i loro antenati, sono ben differenti e spesso antagonisti: “Se accettiamo in qualche modo questa descrizione dei conflitti planetari, allora possiamo facilmente immaginare che la Terra sia diventata uno spazio di scontro tra divinità che conservano, ciascuno un proprio progetto, oggi obsoleto, di una conquista totale del mondo”. (Quando gli dei sono in guerra, La Scuola 2017).
Le due giornate di formazione all’etnopsichiatria, del 2 e 3 marzo 2019, animate da tre membri dell’equipe del Centre Georges Devereux: Tobie Nathan, Catherine Grandsard e Nathalie Zajde, offriranno l’occasione di illustrare questi temi anche attraverso la discussione di situazioni cliniche seguite al Centre Georges Devereux. Tobie Nathan rifletterà su qualche divinità, attraverso la loro interazione, i loro statuti religiosi, i loro legami con gli umani che le sostengono, le onorano o le rinnegano. Catherine Gransard presenterà dei casi di Minori Non Accompagnati, bambini e costruzione identitaria, “inviati” da gruppi culturali e sociali invisibili, seguiti nella consultazione di etnopsichiatria e particolarmente delle ragazze toccate da problemi di “stregoneria”. Nathalie Zajde, seguendo il concetto nathaniano di “qualunquificazione”, proporrà una nuova comprensione della distruzione degli ebrei nei campi di sterminio nazisti, dei traumi della Shoa e della loro trasmissione alle generazioni seguenti; infine svilupperà il principio di “de- qualunquificazione” come processo psicoterapeutico.